Come affrontare i propri demoni e uscirne rinnovati: l’intervista ai The Black Veils


Quando si parla di quel suono oscuro che abbraccia Dark-Wave e Post-Punk, le band nostrane non si tirano certamente indietro – questo fin dagli albori degli anni ottanta. Su queste pagine ci siamo spesso occupati delle opere partorite dalle nostre eccellenze di genere, e certamente non per campanilismo. Siamo convinti che, al netto della nostra musica leggera, in molti altri contesti l’esterofilia rimanga purtroppo la prassi; un errore che spesso priva l’ascoltatore medio di vere proprie perle di genere. A supporto di questa tesi, abbiamo deciso di intervistare una delle più brillanti formazioni Dark-Wave nostrane: The Black Veils.

Dopo avervi parlato ampiamente del loro esordio “Blossom” e della loro più recente seconda fatica “Dealing With Demons”, cogliamo l’occasione per approfondire le tematiche e le influenze in seno all’opera della band Bolognese.

Alla luce dell’ottimo “Dealing With Demons”, emerge un irrobustimento di certi lineamenti apprezzati nel precedente “Blossom”. Un’urgenza palpabile a cui avete dato ascolto, ma dalla quale non vi siete lasciati trascinare (bravi): c’è un fattore scatenante dietro quest’impeto?

GREGOR:
È proprio l’urgenza il fattore scatenante. Quando siamo entrati in studio per registrare “Blossom” abbiamo voluto sfruttare al volo l’alchimia che si era creata tra noi. Tutti e tre venivamo da diverse esperienze musicali e quando abbiamo riscontrato una certa “chimica” – creativa, professionale, ma anche e soprattutto umana – abbiamo voluto “imprimere” subito quest’intesa, che ci è sembrata rara, se non piuttosto unica. Ovviamente “Blossom” soffre, rispetto a “Dealing with Demons”, di una certa “apprensione”: avevamo le idee piuttosto chiare ma anche intenti da affinare. Quando abbiamo cominciato a creare i brani che sarebbero poi confluiti in “Dealing with Demons” ci siamo “costretti” ad assecondarci molto di più: ritoccare il meno possibile, lasciandoci governare dai bisogni del momento e lasciando le canzoni libere di “scorrere”, anche nostro malgrado. Insomma, abbiamo imparato a catalizzare meglio le nostre energie che, paradossalmente, ci chiedevano di essere domate molto di meno.

FILIPPO:
L’approccio avuto in “Dealing With Demons” è totalmente differente rispetto a quello di “Blossom“. Sono due dischi arrivati in due momenti artisticamente e umanamente opposti e dunque una certa ruvidità nelle scelte sonore è stata fisiologica e del tutto genuina. Non ci siamo messi a tavolino e non abbiamo pianificato, ci siamo totalmente lasciati andare al nostro istinto e abbiamo messo tutto quello che avevamo dentro sotto forma di canzone. In questo senso mi piace pensare che più di “urgenza espressiva” si possa parlare di “terapia di gruppo”, in tutti i sensi!

Sappiamo che il nuovo “Dealing With Demons” è stato pensato come un concept legato all’esorcizzazione dei propri demoni, vi va di parlarcene un po’ più approfonditamente?

GREGOR:
Dealing with Demons” ha cominciato a prendere forma in un periodo davvero molto intenso per tutti e tre. Il Duemilasedici è stato l’anno in cui ci siamo “guardati allo specchio”, l’anno in cui sono accadute cose che ci hanno segnato in maniera decisiva, ma anche l’anno in cui sono venute a galla una serie di “turbe” e di “traumi” che abbiamo tenuto dentro decisamente troppo a lungo. Insomma, i demoni sono usciti, come sempre, senza chiedere “permesso”. Potevamo capitolare o confrontarci con essi: abbiamo optato per la seconda opzione.

FILIPPO:
Avevamo assolutamente bisogno di fare una chiacchierata con i nostri demoni, in effetti… e quello che potete ascoltare di fatto è il frutto di questo dialogo. Credo molto nei segnali che il destino ci manda e ho trovato singolare ed ironico che tutti e tre ci siamo trovati ad affrontare un periodo molto simile della nostra esistenza, tant’è che la scelta del titolo del disco è stata praticamente immediata e condivisa da tutti e tre! Abbiamo voluto richiamare il concetto anche nella scelta dell’artwork, ça va sans dire. E personalmente adoro il contrasto enorme a livello visivo e immaginifico tra la copertina di “Dealing With Demons” e quella di “Blossom“.

Nel comunicato ufficiale citate Mishima, Dalì, Cohen, Morrissey e Christopher Lee: in che misura questi personaggi hanno influenzato la vostra scrittura?

GREGOR:
Più che uno sfoggio di influenze “tout court” le citazioni e le allusioni sono veri e propri “sbuffi di devozione”, “atti d’amore”. È stato divertente inserirle, ma anche naturale, quasi doveroso. Tutte, nessuna esclusa, contribuiscono a rafforzare l’isotopia dei “demoni”: fa tutto parte dell’economia del disco, per quanto bizzarro possa sembrare. La cosa meravigliosa è che ognuno può collegare i “puntini” nel modo che ritiene più opportuno, vedendoci esattamente quello che vuole, senza rischiare di essere contraddetto! Nel momento in cui una canzone viene pubblicata, gli intenti di chi l’ha scritta decadono, si trasformano, lasciando spazio ad un’infinità di mondi possibili.

Di Dalì ho rubato il titolo di due opere, sicuramente tra le più celebri: mi piaceva l’idea di creare un legame tra l’incipit e la chiusura del disco. “The Persistence of Memory” denuncia la costante illusione di poter esercitare il controllo sul tempo come su noi stessi, è un grido di consapevolezza. “The Disintegration of the Persistence of Memory” è il suono che producono le certezze quando si frantumano, disarmandoci per l’ennesima volta.

True Beauty Attacks!” riprende una frase che ho scovato in un articolo sul teatro “Nō”, scritto da Mishima poco tempo prima del suicidio. “True beauty is something that attacks, overpowers, robs, and finally destroys” – è una sorta di slogan. L’ho trovato più che appropriato! Cohen e Morrissey vengono “invocati” alla stregua di “spiriti guida” nel brano più intimo e personale di tutti che, non a caso, dà anche il nome all’album. Su Cohen bisognerebbe fare un discorso a parte: per me “sta in alto”, semplicemente, senza possibilità di appello. Il brano l’ho scritto molto prima della sua morte ed ora assume inevitabilmente un significato più profondo.

Per finire, “The Wicker Man” è una dedica a Sir Christopher Lee. La pellicola diventa l’ennesimo pretesto per giocare con i famosi “demoni”, ma è anche un tributo a certi “piccoli grandi film” che amiamo particolarmente.

FILIPPO:
Ovviamente non posso parlare a livello di scrittura di testi ma mi permetto di dire che l’omaggio a Sir Christopher Lee è stato quanto di più sentito a certo cinema che tanto ha terrorizzato e allietato la mia infanzia. Come non citare anche Vincent Price, Boris Karloff e Peter Cushing, giganti ineguagliabili in quel modo di “fare paura”! Ovviamente la pellicola,”The Wicker Man”, è un piccolo cult che consiglio a tutti di vedere. Rigorosamente nella versione diretta da Robin Hardy e con il già citato Lee… non ne abbia a male Nicolas Cage (che sono certo ci stia leggendo)!

Ascoltando la traccia d’apertura del nuovo lavoro (“The Persistence Of Memory”) viene da domandarsi quanto, al netto delle influenze anni ottanta legate alla Dark-Wave, siano state per voi d’ispirazione formazioni del calibro di Sonic Youth e My Bloody Valentine.

MARIO:
Quel tipo di sound shoegaze e noise-rock è parte del nostro bagaglio musicale e culturale (anche più di tutta l’ondata darkwave). Non abbiamo mai scritto pezzi a tavolino, né abbiamo mai cercato di fare un pezzo “à la [nome_di_band_a_caso_che_ci_abbia_influenzato]”, ma devo ammettere che per The Persistence of Memory ho voluto sperimentare, ispirato dal sound di Kevin Shields, fuzz e reverse reverb sulla chitarra.

GREGOR:
Quando abbiamo scritto “The Persistence of Memory” il mio principale riferimento è stato “Mote” di Lee Ranaldo!

Talvolta, come durante “Nothing Is Pure”, sembra invece emergere una concezione moderna del canovaccio Dark-Wave: quella che tanto propiziò le fortune degli Interpol – per dirne una. Quanto dell’ondata Indie del nuovo millennio vi portate dentro la vostra musica?

FILIPPO:
Touché! L’ondata indie del nuovo millennio di cui parli io l’ho presa in pieno essendo, ahimè, il più vecchio dei tre! Dunque il mio raggiungimento della maggiore età è stato accompagnato da gruppi come Interpol, Strokes, Hives, Bloc Party e Horrors (i miei preferiti). Questa vena ballerina e un po’ garage mi chiede costantemente di uscire quando suono e fa da contraltare alle sonorità post-punk e più prettamente wave che apprezzo comunque molto, soprattutto quando parliamo di band come i The Sound. Non sono “total black look”, insomma. Più New Order che Joy Division, per dirla tutta.

GREGOR:
Alle declinazioni “post-punk” più cupe e monocordi abbiamo sempre preferito quelle più “pop”, più psichedeliche o più aggressive all’occorrenza. Per intenderci: The Sound, The Chameleons, Wire, P.I.L., Echo & The Bunnymen e The Church sono tutti nomi che sento più affini al nostro gusto, così come quelli più “jangle” di Smiths e R.E.M o quelli più “shoegaze” di Ride e Slowdive – specialmente se penso a certe sfumature della chitarra di Mario. Nella fase di composizione di “Dealing with Demons” abbiamo anche scoperto che nessuno di noi è uscito davvero “vivo” dal proprio passato “punk”.

Seguiamo anche molti gruppi e musicisti contemporanei e di sicuro dobbiamo molto agli Interpol, specialmente quelli dei primi due album. Ci piacciono Daughter, The National, Moon Duo, White Lies, DIIV, The Twilight Sad, Preoccupations (e forse li preferivamo come Viet Cong). Prima di essere dei musicisti siamo senza dubbio degli ascoltatori, dei “divoratori di dischi”. Nel mio caso parliamo di “feticismo” patologico à la “High Fidelity”. Qualche psicoterapeuta direbbe che è tutta carenza d’affetto!

“Dealing With Demons” esce per Atmosphere Records. Due realtà di Bolognesi, ed un incontro quasi fisiologico vista l’estetica comune. Come nasce il rapporto con loro?

MARIO:
Atmosphere Records è nata per essere un collettivo che sapesse riunire alcune delle realtà di genere Post-Punk e Dark. Il rapporto con Giuseppe Lo Bue e Gianluca Lo Presti è iniziato qualche anno fa in merito a collaborazioni e produzioni musicali, nonché dalla frequentazione degli eventi promossi dal format Atmosphere Bologna, di cui Giuseppe è fondatore. Durante l’estate 2016 ci è stato proposto di entrare a far parte dell’etichetta come prima produzione e ci è parsa fin dal principio un’ottima partnership per il nostro secondo album.

Come per il primo lavoro, alla produzione troviamo Gianluca Lo Presti, un sodalizio che sembra funzionare alla grande: come nasce la collaborazione?

MARIO:
Abbiamo conosciuto Gianluca nell’estate 2014. Si è dimostrato fin da subito entusiasta delle prime composizioni dei Black Veils e si è pensato di affidargli la produzione artistica di Blossom. Dopo la prima esperienza abbiamo optato per un ritorno al suo Loto Studio per realizzare Dealing with Demons, consolidando la collaborazione.

Infine, credo sia giusto fare un po’ di pubblicità alle prossime date live. Anche perché c’è un bellissimo disco da promuovere! Su quali palchi vi troveremo?

FILIPPO:
In effetti ci aspettano diverse date tra suolo italico ed estero (europeo e non). Abbiamo diversi progetti in cantiere e speriamo di poter viaggiare il più possibile. Per ciò che mi concerne non credo finirò il tour del disco, mi fermerò prima, appena trovo una città a me compatibile, ad esempio Parigi. Dunque venite a sentirci ora mentre siete ancora in tempo!

MARIO:
Prossimamente faremo qualche data lungo la penisola, a maggio porteremo la nostra musica in Francia (4 maggio Troyes, 5 maggio Parigi, 6 maggio Rennes, 7 maggio Lille) e dall’autunno in poi il tour proseguirà anche in Portogallo, Belgio, Olanda e Spagna. Stiamo incrociando le dita per un tour oltreoceano…

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