L’ex leader di Libertines e Babyshambles torna in tour in Italia, stavolta solo chitarra e voce. Abbiamo chiesto i pareri del suo pubblico. In pochi lo criticano, molti altri lo adorano a priori.
Recensione del Concerto
ATTITUDINE E VISUAL: Il trionfo della semplicità. Non sapevo bene cosa aspettarmi o cosa sperare da un live di Pete Doherty. Lui è uno di quegli artisti che purtroppo deve gran parte della sua fama anzitutto ai rumors sulla sua vita privata piuttosto che il suo talento. E il concerto all’Atlantico Live è stata una piacevole rivelazione. Palcoscenico vuoto, nessun mega schermo sullo sfondo a riempire la scena. Solo la sua immancabile seggiola a dondolo di legno in posizione centrale, un po’ spostata verso il fondo del palco.
Questo vuoto, questo spazio che sembrava essere quasi infinito vista la sua performance di one man band e la sua figura esile e dinoccolata, è stato sopperito in alcuni brani dalla presenza di due ballerine – una mora e una bionda, come le veline di Striscia la Notizia. Erano necessarie? No, ma in realtà non hanno neanche stonato agli occhi con le loro (scarne) coreografie. Erano giusto un quid in più, ecco.
AUDIO: Chino il capo e porgo i miei complimenti. Il coraggio di portare su palco un’ora e poco più di brani suonati con chitarra acustica in modo impeccabile è qualcosa che non credevo possibile partendo dal presupposto che il concerto era di Pete Doherty. Anche se visibilmente brillo, non ha stonato. Ha biascicato alcune strofe mangiandosi qualche parola, certo. In alcuni brani, ad esempio Last of The English Roses, ha alzato i toni arrivando a sgolarsi nel ritornello. Si è comunque trattato di una voce spinta, forte, che si è fatta trasportare dall’adrenalina e il calore che il pubblico ha dimostrato sin dall’inizio.
SETLIST: Visti i suoi trascorsi, e per non annoiare i presenti, è stata vincente la formula della miscellanea The Libertines – Babyshambles – Pete solista. Da Fuck Forever a Siberian fur, passando per Last of The English Roses, There she goes e Psycho killer.
LOCURA: Prima del suo concerto, ha aperto con una mezz’oretta di live la cantautrice Soko. È stata introdotta al pubblico direttamente da Pete, salito sul palco già carico e con un’andatura visibilmente incerta. Poche parole, Ciao Roma, e si è subito voltato spalle al pubblico per cercare la sua sedia a dondolo. Sulla quale si è seduto con poca grazia e delicatezza. In pratica, il dondolo s’è distrutto sotto il suo corpo che si è lasciato andare a peso morto. Con stupore Pete si è rialzato, ha guardato il dondolo e lo ha lasciato lì nel mezzo, con una gamba rotta.
PUBBLICO: Il merito di Pete è che ha fatto arrivare all’Atlantico Live tutto quel che di British style esiste negli armadi, bauli e soffitte dei fans romani. Un tripudio di bombette, cappelli, pellicce corte in vita e calze strappate, skinny pants, plateau dai tacchi proibitivi e charlestones. Una generazione di trentenni che sembrava essersi riunita per una sfilata di moda più che per un concerto, ma che ha dato un tocco di classe e di familiarità a Pete, icona indiscussa del brit-mood.
MOMENTO MIGLIORE: Non pervenuto. Un buon live senza grossi down, ma senza neanche picchi elevati.
CONCLUSIONI: È necessario prendere gli eventi per quello che sono, cercando di lasciare da parte – per una volta – le critiche scontate e gratuite che circondano il personaggio. Sì, non era sobrio durante la performance, ma questo particolare non gli ha impedito di regalare al pubblico un’esibizione ben composta, musicalmente professionale.
Lasciando a casa la devozione del fan che non trova né vede difetti al suo cantante-idolo, non è andata poi così male, ecco. Forse se fosse stato sobrio avrebbe perso parte del suo charme.